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Il consumo di pasta e il consumo di sugo di pomodoro è tipico della dieta italiana. Inoltre un piatto di spaghetti col pomodoro può risolvere tanti casi di emergenza a pranzo e a cena. Mentre l’acqua bolle, si apre una scatola di pelati o un vasetto di passata, che in dispensa è sempre presente, un filo d’olio d’oliva, due foglie di sedano o basilico, o una fetta di cipolla, cinque minuti di cottura e il miracolo è fatto. Da soli o con gli amici il risultato è garantito, meglio di un invito a nozze. Ma il pomodoro come deve essere? Fresco dell’orto, conservato in scatola, fatto come lo si faceva in passato, con i pomodori comprati al mercato?
Appena arriva la stagione e in campagna la produzione di pomodori da sugo raggiunge l’apice, in molte famiglie scoppia la febbre della preparazione della salsa in conserva. Forse però, al giorno d’oggi, non ne vale più la pena. L’industria, ma non da ieri, ha messo sul mercato i pelati, la polpa pronta, la passata, i pomodori arricchiti con spezie e ortaggi, il concentrato di pomodoro, i condimenti pronti e tutti questi prodotti consentono un risparmio di tempo, di fatica e di inconvenienti. Non si deve lavorare in cucina con pentole e passatutto, lavare i pomodori, tagliare, pelare, cucinare, schizzare e sporcare mobili e pareti, sudare davanti al fuoco, ripulire. Si apre una bottiglietta o un vasetto e il lavoro è fatto.
Il contenitore ideale per la passata è il vetro, perché resiste perfettamente all’acidità elevata del prodotto.
Le passate reperibili in commercio presentano le stesse caratteristiche. Tenete comunque sempre presente che maggiore è la pubblicità di un prodotto e più alto è il prezzo, a parità di sostanza. La pubblicità infatti è sempre pagata dal consumatore. Alcuni prodotti della grande distribuzione venduti con etichetta sociale presentano un buon livello di qualità. Se cominciate a usarli potrete fare i confronti.
Rimane l’impossibilità per il consumatore di rilevare il residuo secco, i metalli pesanti: rame, piombo, cadmio, ferro, le muffe che a occhio nudo non si vedono, ma ci sono, nonché capire dalla tonalità del colore se i pomodori usati erano maturi o acerbi.
Residuo secco
È un valore importante per valutare la consistenza della conserva e definirne la resa dopo la cottura. Si tratta del residuo, quello che resta cioè, dopo aver eliminato tutta l’acqua e il sale aggiunto. Più la percentuale di residuo è elevata e migliore sarà la conserva. Per legge l’estratto secco non deve essere inferiore al 4%. Sulle marche in commercio per i pelati, polpe e passate si va dal 7 al 9% circa.
Per questo è fondamentale un controllo chimico secondo valori favorevoli alla qualità e non alle produzioni.
Qualità del prodotto
Per il pomodoro in scatola non è ammesso l’uso di coloranti, ma almeno qui non ce n’è bisogno: il pomodoro è già bello rosso di natura.
Se il colore è rosso scuro significa che il trattamento termico è stato più brutale ed è stato eseguito magari per coprire difetti della materia prima: pomodori non di prima qualità, con principi di muffe o filamenti fungini.
Un altro indizio è dato dalla consistenza globale del prodotto, che deve essere uniforme. Se dopo avere versato il contenuto del vasetto o del barattolo nella pentola, dovesse risultare un contorno di liquido acquoso, vuol dire che il sugo è poco consistente e quindi scadente.
La sua bontà si vede dalla densità e corposità. Assaggiato crudo deve avere un sapore maturo, acido quanto basta e rotondo.
Controllate in etichetta che gli ingredienti siano solo pomodoro e sale. Se sono presenti conservanti, zucchero o altro vuol dire che si tratta di un prodotto scadente in cui i difetti della materia prima sono stati coperti con queste aggiunte.
La pelatura chimica viene effettuata in bagni di soluzione di soda caustica al 20%, per 30 secondi a 90°C, con l’utilizzo a volte di sostanze tensioattive, come l’etilsolfonato sodico.
Per ottenere pelati e conserve ottimali si deve partire dal pomodoro maturo. La raccolta meccanizzata che si fa nella stragrande maggioranza dei casi non è congeniale perché i frutti dovrebbero maturare tutti nello stessissimo momento.
Cosa ovviamente non possibile in natura, anche se può essere ottenuta con dei trattamenti fitologici.
La maturazione, per un buon sugo, dovrebbe essere totale, anzi corrispondere alla cosiddetta «fase di sovramaturazione», e il pomodoro darà la più alta percentuale di succo e un elevato tenore di zuccheri.
Anche la cernita e la selezione dei frutti per eliminare quelli guasti, imperfetti, sporchi o già attaccati dai parassiti è molto importante perché l’integrità e la sanità determinano la qualità del prodotto, che per i concentrati ha importanza assoluta.
L’importanza igienica e di controllo di questa fase di lavorazione è fondamentale. Pensate che all’esame miscroscopico delle muffe solo 1’1% di pomodori guasti contamina tutta la massa del 60%.
La raccolta, il trasporto in piccole cassette di legno o plastica da 20 chili (ora si preferiscono, nelle aziende dove è possibile, grandi contenitori quadrati, pallettabili, che tengono da 400 a 600 chili alla volta), la sosta sui camion al sole, anche per poche ore, sono tutte operazioni a rischio per la qualità del prodotto finito.
Coloro che si fanno il sugo di pomodoro in casa usano per la conservazione «sterilizzare» il prodotto facendo bollire i vasetti già chiusi dentro un pentolone d’acqua. Metodo che normalmente funziona.
Altri invece fanno ricorso a dei composti chimici in sostituzione della bollitura, acquistando in farmacia delle bustine di acido salicilico.
È una pratica da abolire, prima di tutto perché l’acido salicilico è da considerare un farmaco, il cui derivato più famoso e conosciuto è l’Aspirina, e il suo utilizzo nei prodotti alimentari può dare conseguente assuefazione.
Inoltre l’acido salicilico non è un additivo consentito dalla legge né in Italia, né all’estero. Risulta essere un paradosso che chi si produce in casa la conserva di pomodoro perché non si fida del prodotto commerciale, faccia poi uso di un additivo che le industrie non possono neanche tenere in magazzino.
Data di produzione e scadenza
I produttori purtroppo non hanno l’obbligo, come sarebbe ovvio, di indicare il giorno di produzione. Si limitano a segnalare la scadenza che corrisponde a un paio d’anni dopo la produzione.
Così il consumatore deve fare il conto alla rovescia e alla cieca, perché non conosce la «durata» presa in considerazione. Ci vorrebbe più volontà di chiarezza, che alla fine vorrebbe dire onestà.
Gli esperti di tecnologia alimentare segnalano che il procedimento di lavorazione garantisce questi prodotti per otto-dieci mesi al massimo. Ecco perché insistiamo sull’importanza della data di imbottigliamento o inscatolamento
I sughi già pronti
Un discorso differente deve essere fatto per i vasetti di sughi già pronti. Qui gli ingredienti sono molti e non è possibile tenerli tutti sotto controllo. Il prezzo è esagerato e il gusto non è molto buono. A parte la comodità dunque di tenere un vasetto nella dispensa per le emergenze, il rapporto prezzo qualità risulta troppo sfavorevole per il consumatore.
Risulta essere preferibile dunque ricorrere al sugo semplice concentrato con l’aggiunta estemporanea degli aromi freschi (aglio, basilico, cipolla, peperoncino, dragoncello, finocchio) e a freddo, quando il sugo è pronto, di olio extravergine di oliva, naturalmente stagione e situazione permettendo.
Le etichette
Molte marche, se riuscite a leggere i caratteri minuscoli delle etichette, sono prodotte in conto terzi.
Le indicazioni nutrizionali spesso non esistono e quelle per la conservazione (importantissimo avvisare che i barattoli, dopo essere stati aperti, se non consumati interamente, vanno travasati in recipienti di vetro e conservati in frigo) del tutto carenti.
Le bottiglie o i barattoli sono tutti di misure diverse. Così è difficile risalire al prezzo al chilogrammo, che di solito non è indicato chiaramente sulle etichette o sugli scaffali. Questa del prezzo facile da capire per capacità o peso è una battaglia che il consumatore finora ha perso.