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Sia il tè sia il caffè contengono la caffeina, una sostanza alcaloide che agisce come eccitante su diverse funzioni del sistema nervoso durante la digestione. Per questo sono chiamate bevande nervine.
Il caffè consumato in Europa deriva dalla macinazione dei semi di una pianta che cresce in paesi dell’America Centrale, Asia e Africa.
Le qualità più coltivate sono la Robusta e la Arabica.
Quest’ultima, più dolce e più pregiata, contiene meno caffeina.
I semi del caffè prima di essere macinati sono tostati in forni a una temperatura di 200°C e oltre. Gli zuccheri contenuti nei semi di caffè, nel processo di tostatura caramellizzano e diventano di colore bruno, come lo zucchero messo a tostare sul fuoco.
Durante la tostatura si perde parte della caffeina, mentre si formano altre sostanze aromatizzanti.
Il caffè che si beve da noi è molto tostato, quindi molto aromatizzato ma contenente poca caffeina.
Nei paesi esteri, soprattutto nordici, il caffè è tostato a temperature più basse e quindi risulta meno aromatico ma più eccitante perché più ricco di caffeina.
Sulla percentuale di caffeina finale molto influisce la preparazione della bevanda. Contrariamente a quanto si crede comunemente, la tazzina del bar contiene meno caffeina della napoletana o della moka.
Tolleranza alla caffeina
La caffeina, come l’alcol, viene tollerata in maniera diversa da individuo a individuo, a seconda del metabolismo e della capacità di eliminarla. Per esempio, i fumatori la eliminano molto velocemente, perciò nicotina e caffeina facilmente vanno a braccetto.
La caffeina viene assimilata molto velocemente dall’organismo. Dopo 5 minuti, avendo già raggiunto il cervello, l’organismo ne risente gli effetti: aumenta la vigilanza e la percezione visiva notturna, tiene svegli e migliora la resistenza fisica.
Si diventa dipendenti dal caffè se se ne beve molto. Come già detto, molto dipende da individuo a individuo, ma una o due tazzine di caffè al giorno non fanno certo danno.
Ansia, nervosismo, insonnia, palpitazioni, nausea, inappetenza possono essere causate da tanti caffè giornalieri. Come sempre, sapersi regolare e sorvegliare le reazioni personali rispetto a certi consumi è la cosa migliore.
Anche la sospetta cancerogenicità al pancreas e alla vescica è tutta da provare. Forse la combinazione caffè, tabacco, alcol è più responsabile di questa malattia.
La conservazione e le etichette
Una buona conservazione è fondamentale per il buon sapore del caffè. L’aria, la luce e l’umidità sono i suoi nemici e lo rendono «vecchio», «argilloso» e imbevibile.
Perciò, se possibile, usate quello in grani e macinatelo dose per dose al momento di metterlo nella moka. La confezione già macinata, una volta aperta, si conserva per 10-15 giorni in frigo dentro un barattolo di metallo con guarnizioni a tenuta.
Per questo le pezzature superiori ai due etti, se non per famiglie numerose, ormai in estinzione, sono da evitare.
Il caffè macinato e confezionato conserva le sue qualità per due mesi, al massimo tre. Dopo perde velocemente i valori organolettici. Quello in commercio riposa in pace sugli scaffali anche per quindici o venti mesi. Decisamente troppo.
Sulle etichette, inoltre, non viene indicata la percentuale di Arabica e Robusta di cui è composta la miscela, mentre sarebbe importante conoscerla perché la quantità di caffeina è minore nell’Arabica.
La dicitura «miscela di caffè» è quindi troppo generica. Manca anche il paese di produzione.
Caffè d’orzo e decaffeinato
I caffeinomani salutisti, per berne più tazzine al giorno, o per non rifiutare l’invito amichevole ma famigerato: «beviamoci un caffè» ripiegano sul decaffeinato o sulla polvere di orzo. È bene sapere che il processo di eliminazione della caffeina (fatto con solventi o ultimamente con sistemi a vapore più innocui) lascia nella polvere residui nocivi alla salute.
Per il «caffè» d’orzo, ora bevibile anche al bar, il discorso è più lineAre. È polvere tostata e quindi bruciacchiata, ma innocua per quanto riguarda la caffeina. Nel consumo casalingo consigliamo di evitare l’orzo liofilizzato, che fa schiuma e intasa la moka.
Vale dunque sempre e comunque la regola prima che meno processi gli alimenti subiscono e meglio è.
Regole d’oro
Non bere più di due caffè in un giorno.
Non fumare troppe sigarette dopo aver bevuto il caffè.
Non bere il caffè di sera, se si ha il sonno leggero.
Il caffellatte e il cappuccino sono indigesti più del latte semplice o del caffè da solo. I tannini presenti nel caffè a contatto con l’acidità dello stomaco, si combinano con la caseina del latte rendendo la vita difficile ai succhi gastrici che dovrebbero farlo digerire.
Sotto la lente d’ingrandimento
Un po’ di botanica
Il caffè è una pianta perenne e sempreverde, i fiori sono bianchi e profumati, i frutti sono delle piccole bacche verdi che maturando diventano rosse e grosse come una ciliegia. Nella polpa, protetti da una membrana ci sono i chicchi.
Le specie esistenti sono una cinquantina, ma le più importanti sono due, l’Arabica e la Robusta. La prima, originaria dell’Arabia, è molto pregiata e produce frutti di qualità superiore. Rappresenta i 4/5 della produzione mondiale. L’aroma è intenso e dolce e rispetto alla varietà Robusta contiene meno caffeina.
I principali paesi produttori sono il Brasile, la Colombia, l’Equador, il Venezuela e i Paesi dell’America Centrale.
La varietà Robusta invece è originaria del Congo e viene coltivata principalmente in Africa e nel continente asiatico. Rispetto all’Arabica contiene più caffeina, ha un aroma meno intenso e il gusto più amaro.
Lavorazione in loco
I paesi produttori di caffè sono quelli che lavorano i semi di caffè che saranno esportati in tutto il mondo e soprattutto in Europa e nord America.
I processi di lavorazione consistono nella raccolta, generalmente meccanizzata, nell’estrazione dei chicchi dalle bacche, nella setacciatura e nella calibratura dei semi di grandezze e peso diversi.
Lavorazione a destino
L’operazione più importante ai fini della resa e del gusto del caffè è la tostatura, chiamata anche «torrefazione».
Il modo, la temperatura, l’olio, i tempi dei vari passaggi determinano il «gusto» particolare di una miscela di caffè dall’altra.
I chicchi vengono riscaldati a temperature variabili per 10-15 minuti in base all’umidità del prodotto prima di passare alla torrefazione vera e propria a temperature di 215-220 gradi.
Normalmente i chicchi di Robusta sopportano agevolmente temperature superiori a quelli di Arabica, il che contribuisce a coprire il gusto meno morbido di questa varietà.
La miscelazione è la fase finale della elaborazione del caffè e il suo successo dipende dalla capacità e dalla tradizione dei torrefatto-ri, che con l’esperienza, ma anche assecondando esigenze di mercato sempre presenti, stabiliscono quale sarà la caratteristica finale della bevanda.
Meglio macinato o in chicchi?
È intuitivo che il caffè in grani si conserva meglio, mantenendo inalterate tutte le caratteristiche aromatiche, ma i produttori che hanno optato per quello macinato affermano che solo con la macinazione industriale si ottiene una grana uniforme, molto importante per la bontà finale del prodotto. La verità è che i mattoncini sottovuoto sono più pratici da trasportare e distribuire nei negozi e supermercati.
Vari modi per preparare un buon caffè
Una volta si faceva alla turca. Bisognava portare a ebollizione l’acqua nel bricco, aggiungere la polvere, mescolare bene, e rimettere a bollire. Lasciando depositare i fondi prima di berlo.
Ora la napoletana e il bricco sono stati superati dalla moka. Tutti ne abbiamo più di una e di più modelli. Il principio è sempre lo stesso. L’acqua messa sotto, bollendo sale, passa attraverso il filtro dove è stata messa la polvere di caffè e si deposita nella parte superiore, pronta a essere versata. Di gran lunga rispetto al rapporto prezzo qualità, la macchina migliore per fare il caffè in casa. Lasciando infatti perdere quello del bar, di classe e categoria lusso, anche le macchine per fare il caffè espresso in casa, che tanto vanno per la maggiore in pubblicità e fuori, non vanno molto oltre i risultati della sana, vecchia, economica, indistruttibile moka. Gli anglosassoni fanno il caffè alla rovescia, come nella napoletana, mettono l’acqua calda sopra, il filtro in mezzo e raccolgono il caffè sotto. Ma dalla diffusione che le macchine da caffè italiane hanno raggiunto, direi che non ci sono dubbi, il metodo migliore per fare il caffè è il nostro.
Curiosità finale
L’origine della parola caffè, con le varianti di altre lingue in coffee, koffie, kafee, cafè, kavè, khavi, koohii… ecc. è forse da ritenere sia quella del termine arabo «qahwa», che significa eccitante. Questo nome indicherebbe uno dei più noti effetti della bevanda. Qualcuno però non si accontenta e suggerisce che questa origine sia collegata direttamente a Kaffa, una regione dell’Etiopia da cui proviene la pianta del caffè.